In poche righe: chi siete, cosa fate, a chi potete essere utili?
Siamo attori, narratori, registi e anche da un certo punto di vista giornalisti. Siamo compagni nella vita e sul palco o di fronte alla telecamera.
Una forte esperienza di volontariato in Bosnia, nella guerra civile degli anni 90, mi ha segnato molto. Lì ho deciso di usare le mie competenze, il mio talento, insomma, quello che so fare, per raccontare storie di fratellanza, coraggio e integrazione. Sono nati degli spettacoli di teatro e poi dei libri e da allora il nostro modo di lavorare non è mai cambiato: raccogliamo le storie dalla voce dei testimoni, da chi le ha vissute, e le trasformiamo in spettacolo teatrale.
Possiamo essere utili a chi ha un progetto e vorrebbe finanzialo tramite il crowdfunding: siamo riusciti a produrre due film (Rwanda e Die Mauer) e due serie tv (GreenStorytellers) grazie a oltre 230mila euro raccolti con Produzioni dal Basso. Il crowdfunding è una grandissima possibilità per piccoli gruppi ma non basta: anche a livello internazionale, solo il 15% delle campagne raggiunge il target. È una gallina dalle uova d’oro solo se sai creare attorno al progetto una community, e in questo i social aiutano molto.
Come è cambiata (in meglio) la tua vita negli ultimi due anni?
Una premessa: io e Mara siamo instancabili ottimisti; io poi sono workaholic, il concetto di non fare niente per me non esiste (pensa che non corro e basta, faccio plogging).
Gli ultimi due anni hanno rivoluzionato il nostro settore, i teatri erano chiusi e tuttora faticano. Però noi sapevamo che le persone hanno bisogno di storie e che se il sipario si chiude si può accendere una telecamera. Mentre gran parte dei nostri colleghi si lamentava, noi ci siamo detti: che si fa? Io devo fare qualcosa. Abbiamo provato a creare qualcosa di nuovo: abbiamo registrato una puntata zero, abbiamo creato un promokit, e poi lanciato una campagna crowdfunding. Così è nata la prima stagione di GreenStorytellers.
Se non ci fosse stato il Covid, non avrei mai iniziato questa avventura televisiva che è molto impegnativa, ma anche molto entusiasmante. Ora posso arrivare con una telecamera a mostrare al pubblico le storie che prima potevo solo evocare.
Cosa vorresti vedere intorno a te, per costruire davvero un better normal?
Mi piacerebbe che le persone vivessero con maggiore consapevolezza, in senso ampio.
Ci si lamenta molto facilmente, la lamentela diventa rabbia, che sfoghiamo, contro la politica, l’ambiente o i migranti. Se le cose non vanno, cerchiamo qualcosa o qualcuno su cui scaricare la colpa. Ma quello che ci frena più di tutto è che abbiamo paura di realizzare i nostri sogni, non di fallire. Come è possibile che con tutto quello che abbiamo nessuno abbia il coraggio di realizzare i propri sogni?
Siamo diventati meno ricchi rispetto a prima? Può darsi, ma continuiamo a essere molto fortunati. Vorrei che ci rendessimo conto che le difficoltà degli ultimi due anni non sono niente a confronto di quello che avvenne dall’altra parte dell’Adriatico dieci anni fa in un conflitto per 1427 giorni. Se uscivi, in una città sotto assedio, non c’era un virus, c’era un cecchino.
E infine: scegli una canzone che per te rappresenta il concetto di better normal
“Come talk to me” di Peter Gabriel. Parliamone, parliamone parliamone: parlare ci rende più felici, aiuta il confronto e crea memoria.
Grazie, e arrivederci a Punta Marina!
Trovi Marco e Mara a questi link