Negli ultimi tempi la risposta che ricevo (e do) più spesso alla domanda “come stai?” è “bene, ma stanca” o “stanca, ma bene”. Una stanchezza che non è solo fisica, ma si estende a tanti aspetti delle nostre vite: il lavoro, l’informazione, certe modalità di relazione che non troviamo più accettabili.
Eppure del Freelancecamp non sento la stanchezza: dopo 10 anni dalla prima volta, questa ventunesima edizione mi ha di nuovo rigenerata, e come me gran parte di chi ha partecipato: leggi cos’hanno scritto Manuela Martinuzzi, Antonella Cafaro, Mariella Borghi, Pamela Nerattini, Antonia Cassoli, Antonella Gallino, Monja Da Riva, Antonella Romanini, Sara Soldano, guarda i sorrisi nelle foto scattate da Jessica Zanardi e Daniele Fanton.
Gli ingredienti per far funzionare il Freelancecamp sono sempre stati gli stessi, ma con la capacità di aggiustare le dosi ogni volta:
- Un numero ridotto di persone: oggi, post-Covid, ci si muove di meno, ma negli anni in cui i 200 biglietti per il Boca Barranca andavano bruciati in 24h ci è voluta lungimiranza per non cercare location più grandi e mantenere una soglia massima di presenze, per potersi incontrare davvero.
- I contenuti sono importanti, le relazioni anche di più: per questo i tempi li abbiamo sempre pensati lasciando pause, organizzando o lasciando organizzare momenti di pura socialità: cene, shooting fotografici, gruppi di discussione informale, gite in barca, grigliate.
- Condividere i problemi e come li abbiamo affrontati e spesso risolti fa bene a chi lo fa e a chi ascolta: se il rischio di chi è freelance è patire la solitudine, l’antidoto non è lamentarsene, ma fare rete. Anche senza salire sul palco o prendere il microfono in mano: molte cose succedono anche mentre si chiacchiera con un bicchiere in mano.
- Accogliere chi arriva per la prima volta con curiosità e apertura, perché funziona molto meglio se non ci sono i gruppetti dei veterani che guardano dall’alto al basso i niubbi.
- Organizzare è bene, ma anche invitare a organizzarsi: il Freelancecamp non è una vacanza tutto compreso, ma un’occasione per attivarsi e fare cose anche con persone conosciute per la prima volta.
Dicevo della capacità di cambiare: nessuna edizione è stata uguale alla precedente, ciascuna a suo modo è stata l’edizione più bella di sempre; in queste ultime a me pare che ciò per cui davvero vale la pena incontrarsi di persona, più che i talk – anche se ce ne sono stati come sempre di molto validi – siano i momenti in cui apriamo discussioni collettive, in cui chi ha proposto il tema introduce l’argomento, racconta la propria esperienza, e poi il microfono gira e vengono fuori tanti altri punti di vista, consigli, approcci.
A Marina Romea abbiamo ragionato insieme sull’allenarsi a vendere, sugli strumenti per gestire il lavoro che cresce e ci impone di allargare il team, su come far funzionare le riunioni (workshop di facilitazione condotto dalle bravissime Pamela Nerattini, Mariella Borghi e Antonella Romanini), sull’affrontare i numeri quando pensiamo che non facciano per noi, sui vantaggi di lavorare con clienti esteri, sui momenti di crisi e quelli in cui vogliamo lasciare un cliente.
Su ciascuno di questi argomenti puoi trovare mille articoli, talk, workshop e corsi, ma la ricchezza che ti dà parlarne insieme, le relazioni che nascono e si rafforzano con chi ha condiviso con te le proprie esperienze, non sono riproducibili se non vivendo quel momento lì: questo è il motivo per cui devi venire al Freelancecamp ogni volta che puoi.
E poi c’è la continuità delle relazioni: il Freelancecamp è prima di tutto una comunità permanente e il Club è oggi il modo più sensato per farne parte: uno spazio che si apre almeno una volta al mese, per imparare e per incontrarsi a parlare. Perciò concludo ricordandoti che fra poco apriremo le iscrizioni per il Freelancecamp di settembre e il terzo anno di Freelancecamp Club, ci sarai anche tu?