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Superospite al Freelancecamp: Ninni Bruschetta

Scritto da Silvia Versari il 11 Marzo 2021
Ninni è un superospite che proprio non avremmo mai sperato di avere. È stato invitato da Katia Donato, visto che nel gruppo e nelle newsletter lo citavamo sempre, e lui ha accettato. La maggior parte di noi lo conosce per un ruolo iconico in una serie tv iconica, quella che parla di un modo di lavorare "troppo italiano". Ma Ninni è molto di più: è attore di altre fortunate serie tv, di moltissimi film d'autore, regista teatrale, autore di libri, e ora anche di un disco jazz. E poi - non ultimo - padre di famiglia, amico e persona civile.

In poche righe: chi sei, cosa fai e a chi puoi essere utile.

“…Allora mi accorsi che era tardi… per ragionare su quella domanda…”. No, scusami, questa è la battuta di un mio spettacolo. La domanda era appunto: “Chi cazzo sei?”, testualmente. Spero di essere un buon padre di famiglia, un amico e una persona civile. Queste sono certamente le mie massime aspirazioni.
Poi, come sai, faccio l’attore, il regista teatrale, scrivo qualche libro e a maggio esco con un disco. Una suite di Cettina Donato sulle poesie di Antonio Caldarella, trasformate in canzoni jazz, con un ensemble di otto elementi. Un’esperienza unica e innovativa, almeno per me. Si intitola I SICILIANI.
A chi posso essere utile? Quando faccio teatro direi ai giovani perché ho sempre raccontato storie civili, anche quando ho messo in scena i classici. In genere chi si occupa di arte o di cultura in generale dovrebbe perseguire il fine di parlare alla gente, ma non con la stessa velocità e quantità con cui lo fa Facebook o Instagram. Noi cerchiamo di parlargli all’orecchio, uno per uno, perché diciamo e soprattutto riportiamo cose, racconti, miti che aiutano a vivere meglio.

Fa un po’ strano definirti un “freelance” ma in fondo l’attore è forse la quintessenza del freelance. Quando trovi una collaborazione fissa, magari in una serie televisiva, diventi quello che noi chiamiamo uno “slash worker”: un ibrido fra un dipendente e un libero professionista. Il lavoro fisso ti permette quella sicurezza economica che ti lascia poi più libera la parte free… 

No, non credo. Un grande stilista giapponese (Yamamoto) dice che il mestiere è rappresentato da chi lo fa e dall’abbigliamento che indossa. In parole povere si tratta di un personaggio. Il privilegio del nostro lavoro è quello di interpretare diversi personaggi e quindi di vivere tante vite, che è il sogno di tutti. Per questo si dice che sia il lavoro più bello del mondo. È chiaro che se hai il posto fisso, interpreti una sola vita e, probabilmente, anche sufficientemente monotona da rischiare la noia.

Dal tuo libro “Manuale di sopravvivenza dell’attore non protagonista” ho sottolineato tra le altre cose questo passaggio: “Questa volta non l’ho scelto, ma dal momento che tutti vogliono essere protagonisti, essere dichiaratamente non protagonisti finisce per diventare un privilegio”.

Si, è un modo per giustificare il fatto che non mi hanno mai fatto fare il protagonista!
😁😁😁 Ovviamente scherzo.
Ho scritto quella frase per sintetizzare il disagio che provo per una società in cui si confonde il virtuosismo con la competizione. Mi ricordo di Alan Prost: “Un giorno vinci il mondiale di automobilismo e il giorno dopo ti accorgi che non è cambiato niente!”. Il bello di essere parte del tutto ti rende veramente protagonista, secondo me. Come dicono gli islamici: una goccia fuori dal mare è una goccia, ma nel mare è mare!

Siamo veramente molto felici di ospitarti alla prossima edizione del Freelancecamp, vuoi dare qualche anticipazione sulla nostra conversazione?

Mi piacerebbe ascoltare qualche domanda ma mi piacerebbe anche parlare dei teatri chiusi e di che cosa significhi per chi fa il nostro lavoro essere vittime di un’indifferenza che non rispetta soprattutto il nostro pubblico. Non comprendere la necessità dell’arte è uno status che definisce una civiltà in declino.

Hai una macchina del tempo e ti incontri all’inizio della tua carriera. Cosa ti dici?

Per fortuna la macchina del tempo non esiste, perché non me la sentirei di ricominciare tutto da capo. Sicuramente mi direi di studiare molto di più, di non lasciare il pianoforte, per esempio, di fare molta più esperienza all’estero e di capire fin da subito che il giudizio degli altri è sì importante, ma non può e non deve essere il fine di questo lavoro e, soprattutto, della vita.

Come hai vissuto questo anno di lavoro e tutti i cambiamenti dovuti alla pandemia?

Per fortuna non mi sono mai fermato. Ho sofferto molto per tutto ciò che è accaduto. Ho temuto la solitudine, immedesimandomi in ogni morto che è stato solo un numero. E la temo ancora. Ho pregato per tutti. Poi mi è mancata la vita e la libertà. Certe volte anche solo un caffè al bar. Penso che stiamo vivendo la nostra guerra, solo apparentemente meno spaventosa di quella che hanno vissuto i miei genitori e i miei nonni. Il nemico silente ci risparmia le bombe, ma non l’ingiustizia e la cecità nella scelta delle sue vittime. Mi lascia alquanto indifferente la ricerca spasmodica, soprattutto nel mio settore, di prevedere il futuro, magari di inventarsi nuovi modi di fare spettacolo. Per ora lo dicono tutti, no? Io penso che finché non sapremo chi saranno i sopravvissuti e non vedremo quali macerie resteranno, non ci possiamo inventare proprio niente.

Scrivi “Duccio è un non protagonista che ti cambia la vita”. Ninni, passami Duccio: Duccio, dai qualche consiglio ai nostri freelance?

“Fate passare il tempo e non leggete. Neanche la pubblicità!” Cosa ti aspettavi se non questo? Invece io un consiglio ai freelance lo voglio dare: ricordatevi che quando non vi chiama nessuno, non siete disoccupati, siete in vacanza!

Scegli una canzone che per te rappresenta lo spirito del freelance. Perché hai scelto proprio questa?

Scelgo “Blue Spanish Sky” di Chris Isaak, perché è una canzone da viaggio. E il freelance cos’è, se non un viaggiatore?

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