Nuova puntata del podcast del Freelancecamp, tratta dal talk di Deborah Ugolini: cosa accomuna la radio e il podcast? Da dove deriva la magia della voce? Cosa dobbiamo sapere per fare un podcast (che la radio ci può insegnare)?
Puoi ascoltare la puntata del podcast, o leggere un estratto della trascrizione qui sotto. Ma io ti consiglio il podcast, per apprezzare al meglio la magia della voce di cui Deborah sta parlando.
Ascolta “S1 P6 Dalla Radio al podcast e ritorno | Deborah Ugolini” su Spreaker.
Cosa può imparare il podcast dalla radio?
Parliamo di cosa può imparare la radio dal podcast, ma soprattutto di cosa può imparare il podcast dalla radio.
Quando stai davanti al microfono di una radio, anche per una sola volta, ti entra dentro qualcosa che non se ne va mai più. Una passione che rimane unica. Mi sono chiesta: da cosa deriva? E il successo che i podcast stanno riscuotendo in questi ultimi anni me lo conferma: qualcosa, che poi accomuna radio e podcast, ci deve essere. C’è una sorta di magia, alla base.
La magia della voce
Ho cominciato a farmi qualche domanda. Sono partita dalla magia che secondo me fa parte dello strumento radiofonico.
Facciamo qualche passo indietro. Immagina quando è arrivata la radio: una scatola molto grande da cui esce musica, e voci. Che non sono più collegate a persone che stanno parlando nella stessa stanza in cui c’è chi li ascolta. È la prima volta che avviene una cosa di questo tipo: un processo che chiameremo magico.
Il fatto di sentire una voce senza vedere la persona che parla, crea uno stupore che non avviene quando vediamo qualcuno parlare in video, per esempio.
È simile a quel che avviene per i libri. “È più bello il libro o il film?” Se abbiamo letto il libro prima di vedere il film solitamente rispondiamo “il libro”. Perché la nostra mente ha spazio per immaginare, per costruire in modo più autonomo i personaggi e il mondo raccontati su, e tra, le righe.
Avviene la stessa cosa quando il racconto, anziché dalle pagine, ci arriva portato dalle onde sonore. Addirittura in modo ancora più intangibile – e quindi magico – che con la carta o lo schermo.
Com’è cambiata la radio negli anni
La radio è molto cambiata negli anni. È sempre stato un medium molto sottovalutato, soprattutto come investimento pubblicitario.
Chi fa la radio è proprio perché la ama.
Soprattutto agli inizi, con le radio libere, ciò permetteva di creare contenuti di grande valore. Ma dopo la grande qualità dell’inizio, l’esigenza di dover riempire palinsesti al costo più basso possibile ha portato ad un abbassamento della qualità.
Ora spesso chi conduce una trasmissione radiofonica è perché è diventato famoso su un altro medium, e ha il compito di portare ascoltatori.
Per fortuna si parla di “spesso” e non di “sempre”. Molti di quelli che non trovavano più spazio in radio per ascoltare contenuti di qualità, sono andati a cercarli nei podcast.
Dalla radio al podcast: la moltitudine dei singolari
E molti di coloro che avevano qualcosa da dire, hanno creato un podcast.
I podcast, in teoria, li può fare chiunque. Ma la professionalità da speaker non si improvvisa, e non parlo solo di dizione e tempi perfetti. Una volta in radio dovevi avere una grande competenza musicale per fare un’intro a un pezzo musicale e smettere di parlare nel momento giusto, ora c’è un computer che te lo dice.
Parlo del saper instaurare il rapporto di intimità necessario, in un podcast. Quando raggiungiamo le persone solo con il suono della nostra voce, noi non parliamo a un pubblico plurale ma parliamo a una moltitudine di singolari. Chi ascolta i podcast per il contenuto, così come chi ascolta programmi radiofonici, lo fa in modo privato, ritagliandosi uno spazio personale.
Spesso è in macchina, o passeggia con gli auricolari, o sta stirando o cucinando. Noi dobbiamo tenerne presente nel momento in cui prepariamo un podcast: non possiamo rivolgerci a un pubblico indistinto, perché stiamo parlando a una persona alla volta, dentro una sua sfera intima.
Entriamo in una sfera intima, con rispetto
Questa consapevolezza è l’unico atteggiamento che vi permette di arrivare a un pubblico che ascolta. Pensiamo anche alla nostra esperienza: quando noi ascoltiamo una trasmissione che ci piace, quando seguiamo una persona e impariamo a conoscere la voce, ne riconosciamo i picchi, i sentimenti, gli errori, i cambiamenti. Le persone che ascoltiamo solo in voce diventano amiche, con loro si crea un rapporto che è diverso da qualsiasi altro rapporto si possa creare con altri mezzi.
Per esempio, io ho adorato il podcast Be my diary di Rossella Pivanti (stella inarrivabile della produzione dei branded podcast). L’ho ascoltata raccontare della sua vita per molte puntate, e quando l’ho vista sono andata ad abbracciarla, perché mi sembrava che fosse una mia amica da sempre.
Succede esattamente questo: le voci diventano familiari, e anche noi tendiamo a lasciarci più andare.
Sai di non avere altri supporti, quindi tutto deve passare per quel tramite, la tua voce.
Ma ci deve andare però: e se tu non glielo metti, non arriva. Sto parlando del portato.
Non solo voce: il portato
Il portato è l’intenzione di arrivare al nostro pubblico. L’ho imparato dal mio insegnante di canto jazz. Mi diceva: quando canti devi arrivare con l’intenzione alle persone in fondo alla sala. Quelle persone devono sentire che stai cantando per loro.
Quindi: il portato è la nostra intenzione di arrivare esattamente dove le persone ci stanno ascoltando. In questo caso noi dobbiamo travalicare lo spazio e andare oltre un microfono, attraverso delle onde sonore, in un orecchio, in una cucina, in un bagno, in una macchina, dove c’è una persona che ci accoglie come se noi fossimo seduti accanto a lei. Ed è una cosa bellissima.
Quando parliamo di podcast oltre a travalicare lo spazio dobbiamo scavalcare anche il tempo.
In linea di massima quando si parla di fare radio si parla di diretta. Quindi io parlo, come adesso su questo palco, e voi mi state ascoltando nello stesso spazio e nello stesso tempo.
Quando da questo talk trarremo un podcast, le persone che lo ascolteranno saranno in un altro posto e in un altro momento. Per esempio non avranno la possibilità di farmi domande o di rispondere a quelle che faccio a voi.
Qualche giorno fa ho chiesto a uno speaker radiofonico quale fosse, secondo lui, la vera differenza tra la radio il podcast. Lui mi ha risposto: nel podcast manca la contemporaneità.
Le radio in realtà hanno sempre avuto un’attenzione particolare all’interazione con gli ascoltatori a casa: le telefonate, le lettere!, poi gli sms, e poi subito sui social, appena arrivati. Perché la dimensione della “community” è sempre stata importante per le radio. Quando è arrivata Internet, e con lei i siti delle radio, lì sono finite le registrazioni dei programmi: di fatto questi sono stati i primi podcast.
Quindi, insomma, se non parliamo in diretta manca la contemporaneità ma questo non significa necessariamente mancanza di interazione.
Più avanti vedremo meglio cosa intendo.
Dalla radio al podcast cosa ci portiamo dietro per aiutarci?
Innanzitutto saper parlare, nel senso di saper comunicare: è fondamentale che gli altri ci capiscano e che seguano bene quello che vogliamo dire.
Quindi:
- Non significa avere una dizione perfetta o non avere accenti regionali. Ma dobbiamo sapere che meno siamo caratterizzate o caratterizzati e più è facile che il nostro pubblico si riconosca in noi.
Se io faccio una battuta in romagnolo stretto rideranno i romagnoli. Gli altri potrebbero non dico sentirsi esclusi ma sicuramente non si sentiranno coinvolti. - In ogni caso l’idea è quella di coinvolgere sempre più persone, quindi aprire la bocca, A R T I C O L A R E bene le parole soprattutto usare il microfono nel modo corretto. Ma questo l’abbiamo già detto.
- Dopodiché un buon ritmo. Cosa vuol dire? Che non dobbiamo essere noiose, vuol dire che se siamo in due dobbiamo riuscire a darci gli attacchi tenendo un ritmo anche musicale. Questo lo possiamo anche costruire in post produzione con un buon montaggio.
- E quindi arriviamo al montaggio: oltre ad aiutarci a scandire il ritmo ci permette aggiungere effetti sonori ironici, una musica di sottofondo, una sigla d’apertura e di chiusura. Possiamo inserire delle parti intermedie soprattutto se il podcast è abbastanza lungo, in modo da orientare le persone perché capiscano a che punto sono.
- Ora andiamo sull’ovvio, ma è bene ribadirlo. Ci serve una buona idea. Che è un po’ come dire “fammi un video virale”. Diciamo che ci vuole una buona idea e un po’ di culo. Devi avere l’idea e poi devi sperare che l’idea vada bene Non è detto che succeda, ma possiamo puntare sempre sulla nostra professionalità. E quindi sul fare quello che sappiamo fare e farlo nel modo più sincero possibile. Perché la verità e la sincerità sono uno strumento di marketing veramente impagabile.
- Ribadiamo quello che abbiamo detto all’inizio: la consapevolezza del mezzo. Dobbiamo assolutamente sapere chi ci ascolta e come ci ascolta. Non possiamo pensare di fare un podcast parlando come se avessimo un pubblico che ci guarda su YouTube o che ci legge su Instagram, su Facebook, o su un blog. Ricordiamoci che stiamo parlando a una moltitudine di singolari.
Podcast, interazione e community
Dicevamo prima che nel passaggio della radio al podcast abbiamo perso un po’ di interazione.
Come spesso succede, c’è una domanda e il mercato risponde. Ed è arrivato Clubhouse, con le sue Voice Room. Seguiranno poi anche Facebook e Telegram, quindi nuovi spazi interattivi dove si potrà comunicare solo con la voce.
Clubhouse, la community, e i podcast
Vi racconto come io e Monja Da Riva abbiamo usato Clubhouse per registrare il nostro podcast. Avevamo un’idea, un argomento che ci stava a cuore e su cui avevamo molte cose da dire. Ma non avevamo tempo per fare un podcast e ci siamo dette: proviamo Clubhouse, poi vediamo. Abbiamo cominciato e abbiamo scoperto che in realtà l’interazione, se vuoi, la puoi creare. Siamo partite con delle dirette su Clubhouse, che poi sono diventate dei podcast: Amiche a tradimento.
Per comunicare e promuovere il nostro podcast abbiamo deciso che non volevamo una pagina Facebook, e abbiamo aperto soltanto il gruppo su Facebook, perché ci interessava soprattuto creare una community attorno ai temi che noi stavamo trattando, che ci stavano a cuore e su cui ci siamo messe in gioco in prima persona raccontando molto di noi. Molte persone ci hanno detto che questo le stimolava ad aprirsi a loro volta.
A questo punto abbiamo aperto le Voice Room, dove abbiamo aperto il confronto sulle tematiche di cui parliamo nelle puntate. È stata un’esperienza sorprendente, perché abbiamo riscoperto il quello che qui in Romagna (ho appena detto che non devo parlare di regionalismi, ma lo spiego) si chiama il trebbo: le chiacchiere fuori dalla soglia di casa la sera d’estate. Abbiamo scoperto che, soprattutto per le donne, sono spazi che sono sempre troppo pochi.
Ecco quindi come anche il podcast può creare lo spazio intimo e la community che rendevano magica la radio.
Per approfondire
- Il microfono è tuo amico, talk di Deborah Ugolini – Marina Romea 2018.
Si può avere la migliore dialettica del mondo e si può parlare dell’argomento più interessante del mondo, ma se non sai usare gli strumenti a tua disposizione per comunicare con la platea è tutto inutile. Impariamo a usare la voce e la tecnologia per fare arrivare bene il messaggio. - [Visibile solo a chi è nello ZoomClub] Podcast e audiomaking, ZoomClub di Francesca Fiorentino.
Tutti parlano di podcast: ma cosa li rende tanto speciali e utili per promuovermi come freelance? E soprattutto: è difficile crearne uno che mi racconti nel modo giusto? - Podcasting: uno strumento per fare personal branding e non solo…, talk di Giorgio Minguzzi a Marina Romea 2017.
La mia esperienza con Merita Business Podcast. I clienti raggiunti, i numeri, i successi, gli insuccessi. Come si fa e quanto tempo occorre.